Una evidenza riguardo all’ultima catastrofe

Nella memoria del sistema, cioè l’acqua, c’è anche il back up, ovvero quel che è stata la sequenza di eventi che hanno causato l’ultima catastrofe.
Nel viaggio dentro tale back up, siamo andati al giorno fatidico.
Siamo in un punto preciso della registrazione, in un posto preciso, corrispondente all’attuale Georgia russa.
Dentro un edificio alto, molto alto, c’è una persona, ha le nostre fattezze, solo che sembra alto, molto alto, 6-8 metri.
Si sente un rumore di fondo, un rombo che aumenta man mano passano i secondi.
Chiediamo a questo gigante di dirci cosa sta accadendo e lui risponde “E’ finita!”
Cosa è finita?
Cosi ci racconta dell’operazione che è stata tentata, quella di forare la cupola per accedere al “fuori”, ci dice che “hanno commesso un errore” e che c’era una “intercapedine” che loro non si aspettavano ci fosse.
Qualcosa di tipo vetro trasparente, che era stato rotto e frammenti di questo precipitavano sul piano terrestre proprio in quei momenti.
Fuori il cielo diventava nero e il rombo diventava qualcosa di terrificante.
Il bello del back up è che puoi metterlo in pausa.
Cosi tutto si è fermato.
Al gigante non pareva vero…
Quegli idioti avevano colpito qualcosa e causato una catastrofe planetaria, un pezzo di intercapedine ha colpito la parte centrale dell’Australia, poi parte della Cina e ha trasformato la Mongolia in un deserto.
La parte maggiore ha di fatto colpito l’India meridionale, poi l’Afghanistan, l’Arabia e l’Africa del nord.
Il Sahara è stato causato da quell’evento.
Parte del materiale vetroso è finita nell’attuale oceano Atlantico.

A parte la storia, che prosegue, la verifica di quel racconto l’ho finalmente trovata, in questo articolo

La cupola è un diottro

23 MAGGIO 2020BY MICHELE VASSALLO

H.W.M. Olbers (1758–1840) è famoso per un affascinante paradosso: perché il cielo è buio di notte? Supponendo che lo spazio sia infinito e pieno di stelle, ha suggerito, l’intero cielo dovrebbe essere luminoso come la superficie del sole. Vedremo che il nostro mondo, quello in cui viviamo, non è infinito ma abbastanza piccolo e le stelle vengono inoltre ulteriormente avvicinate alla nostra vista dal diottro costituito dallo statore della cupola.

La domanda alla base del paradosso di Olbers era stata originariamente sollevata da Keplero. Una delle spiegazioni talvolta suggerite è che il nostro universo sia finito sia nel tempo che nello spazio, e la quantità totale di materia ed energia sia troppo piccola per illuminare il cielo notturno.

In realtà, Olbers riteneva l’universo illimitato. Ma quando consideriamo la cupola celeste sulla Terra piatta, sappiamo ormai che essa contiene le stelle e che non è uno spazio infinito. Dal momento che nel nostro cervello, a causa delle profonde circonvoluzioni del nostro encefalo, ci sono più di 80 miliardi di neuroni, a molte persone piace dire che ci sono tanti neuroni nel cervello umano quante stelle nella Via Lattea. E perché no? Oserei dire che il numero di stelle può effettivamente essere molto di più.

vuoto

Molte persone chiedono: «L’universo ha confine? ». Se si pensa all’universo descritto dalla scienza si pensa ad uno spazio così grande da poter essere considerato illimitato.

Comunque, ovviamente, sarebbe meglio limitare la nostra indagine al nostro unico cosmo: la Terra piatta in cui viviamo noi.  Solo quella in cui viviamo, perché in realtà è ben probabile che ce ne siano altre. Quindi, ora voglio focalizzare la mia attenzione sui confini esterni del firmamento sopra di noi. Voglio dire, i diversi strati della cupola che proteggono la Terra. Considerando la cupola come una sfera limitata veniamo a capire che anche le stelle sono un numero limitato e capiamo come mai non si verifica il paradosso di Olbers. Vediamo cioè un numero limitato di puntini luminosi perché effettivamente sulla Terra piatta ci sono un numero finito di tali puntini.

Nell’analisi del paradosso di Olbers bisogna anche tenere conto della proprietà rifrattive delle componenti la cupola e che ci consentono di vedere le stelle solo dopo una doppia rifrazione data da una lente con un certo spessore, un diottro. Consideriamo questo problema che è strettamente collegato all’altezza osservabile e misurabile delle stelle sulla Terra piatta. Abbiamo visto che le stelle sono nel rotore, la parte della cupola che ruota, staccata dallo statore da uno strato di vuoto. Pertanto, se si tiene conto dell’apice, vale a dire il punto in cui si troverebbe la stella polare, la distanza deve essere superiore ai 26.000 km dal livello del suolo.

Parlando della stella polare possiamo chiederci quanto è alta quando l’altezza viene misurata da un osservatore sulla superficie terrestre. Non potendo fidarmi di ciò che la scienza dice ho effettuato una misurazione dalla mia latitudine di 45 ° e ho visto che effettivamente l’angolo di elevazione per la stella polare è di 45°.

In effetti, la scienza afferma che la stella polare definisce un angolo rispetto all’osservatore pari alla sua latitudine. Questo perché la scienza suppone che la stella sia a una distanza tale da poter essere considerata infinitamente distante. Chiunque sia al Polo Nord (latitudine 90 ° N) vedrà la stella polare a 90 °, cioè dritta sulla testa, mentre quelli all’equatore (latitudine 0 °) dovrebbero vederla a 0 °, cioè all’orizzonte .

È stato però verificato che la stella polare è visibile fino a almeno dieci gradi a sud dell’equatore, quindi ciò che la scienza dice è facilmente contestabile. Tuttavia alle mie latitudini la stella polare è a 45 ° di elevazione. La latitudine di 45° definisce sulla Terra piatta un cerchio a 45° x 111 = 5000 km circa. Ciò significa che la stella polare appare ad un’altezza di 5000 km.

E l’altezza delle altre stelle? Per dare la risposta è sufficiente considerare un time lapse del moto delle stelle durante la notte. Tutte le stelle ruotano attorno al polare che rimane visibilmente al centro del moto delle stelle. Questo è verificabile come vero da qualsiasi punto sulla Terra in cui viene effettuata l’osservazione. Se la polare fosse ad un’altezza diversa rispetto alle altre stelle, non la potremmo vedere sempre al centro comunque la si guardi ma nascerebbero dei problemi di parallasse. Dunque le stelle appaiono su una semisfera di 5.000 km di raggio.

Ma abbiamo visto che invece le stelle sono su uno strato di ambra che ha un raggio di almeno 26000 km. Come può essere spiegata questa incongruenza? Dallo studio dell’architettura del duomo abbiamo visto che sotto il rotore c’è uno statore trasparente. Lo statore potrebbe comportarsi come una lente e produrre strani effetti ottici di rifrazione? Per dare una risposta dobbiamo fare alcune analisi di ottica strumentale.

Uno dei problemi principali dell’ottica strumentale è la creazione di dispositivi in grado di creare un’immagine (reale o virtuale) di un oggetto. In altre parole, proviamo a realizzare, attraverso l’uso di superfici rifrattive di forma appropriata, la trasformazione di raggi omocentrici provenienti da una sorgente puntuale S in raggi omocentrici provenienti da una sorgente diversa S’. Nel nostro caso si tratterebbe di avere un diottro in grado di prendere le stelle a 26000 km (sorgenti S) e trasformarle in punti luce S’ a soli 5000 km di altezza. È possibile raggiungere questo obiettivo con una superficie rifrangente come il nostro statore? Vediamo un po’ di teoria.

Consideriamo un diottro, cioè un sistema composto da due mezzi trasparenti, isotropi e omogenei, separati da una superficie sferica di raggio r. Mettiamo una fonte di luce puntiforme nel punto S che corrisponde alla nostra stella polare.

diottro

Ci chiediamo quindi se il diottro sferico con centro in C e raggio r può trasformare la sorgente S in un altro punto luminoso S’ chiamato immagine di S. A tal fine unisco il punto S con il centro C del diottro e indico con O  il punto di intersezione con la superficie della lente.

Il raggio SC non viene deviato perché perpendicolare alla lente. Considero un altro raggio che incide nel diottro nel punto Q e applico la legge della rifrazione di Snell.

diottro

Dove gli indici n sono gli indici di rifrazione delle sostanze separate dal diottro. Naturalmente questa è una semplificazione in cui consideriamo lo statore infinitamente sottile. La discussione dovrebbe quindi essere approfondita considerando il fatto che lo statore è una lente spessa che crea quindi una doppia rifrazione.

Considerazioni ottiche di questo tipo, che non sono difficili, verranno fatte in seguito. Il raggio SQ viene rifratto e incontra il raggio SC non deviato nel punto S che risulta essere l’immagine di S.

Questa semplificazione deve tuttavia tener conto del fatto che per angoli ϑ larghi, il raggio di uscita è astigmatico. Ciò significa che, spostando il punto Q sulla diottria, i raggi in uscita non incontrerebbero il raggio SC sempre nello stesso punto, creando così più immagini S’.

Ma se ci limitiamo a considerare quei raggi che formano un piccolo angolo ϑ con la linea SO, l’astigmatismo è ridotto e, fino a un certo punto, cancellato. Nel nostro caso, poiché le stelle sono a meno di 3000 km dallo statore-diottro e l’osservatore è molto più basso, questa ipotesi può essere considerata valida.

Il concetto da ricordare è quindi che le stelle a 26000 km sono abbassate dal diottro che ne mostra un’immagine a soli 5000 km di altezza.

Queste stelle non sarebbero visibili di per sé a una distanza di 26.000 km se non fosse per lo statore che li mette alla nostra portata visuale. Per fare un’analisi accurata dell’intero problema, suggerisco studi di ottica geometrica.

Di Franco Remondina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *